In Paradiso con Luca Rossetti: un racconto per il restauro della cupola

In questi mesi la Confraternita di Santa Croce ad Ivrea sta portando avanti un progetto finalizzato al restauro degli affreschi tardobarocchi presenti nella chiesa di Santa Croce in via Arduino.

Nel 1753 la Confraternita del Suffragio (oggi Confraternita di Santa Croce) commissionò a Luca Rossetti gli affreschi che dovevano ornare in modo degno l’intero loro edificio sacro, a cominciare della cupola con la scena dell’Assunzione della Vergine.

Non era la prima volta che, ad Ivrea, il pittore di Orta era chiamato a cimentarsi con il tema del Paradiso. Lo aveva già fatto nel 1738, a trent’anni, sulla piatta superficie del coro superiore della chiesa di San Gaudenzio. Fu probabilmente l’osservazione di tale impresa pittorica, con un vortice di angeli dalle ali colorate che fanno da corona alle persone della Trinità affiancate dalla Madonna e da San Giuseppe, a convincere i rappresentanti della Confraternita ad ingaggiare Luca Rossetti. Erano stati specialmente colpiti dal fatto che, grazie all’ideazione di uno straordinario inganno prospettico, le immagini del Paradiso, viste dall’aula della chiesa, apparivano molto lontane a sottolineare la lunga ascesa che il San Gaudenzio raffigurato nella pala dietro l’altare stava compiendo. «Il Rossetti – avevano pensato i confratelli – non è solamente bravo nel disegnare le figure e nel destreggiarsi con i giusti colori; ha anche estro ed inventiva.»

Fig. 1: Il Paradiso nella volta del coro superiore della chiesa di San Gaudenzio (1738-39)
Fig. 1: Il Paradiso nella volta del coro superiore della chiesa di San Gaudenzio (1738-39)

A quarantacinque anni, più ricco di esperienza, Luca Rossetti si trovò ad affrontare in terra eporediese questa seconda impresa. Aveva appreso sin da ragazzo, dal nonno Valentino, come valersi degli effetti illusionistici della “prospettiva di sotto in su”; si era già messo alla prova altre volte nell’impresa di affrescare una cupola, come aveva fatto ad esempio a Bioglio nel 1739 cimentandosi – proprio come doveva fare ora – con il tema della Incoronazione della Vergine. Lo preoccupava invece il poco tempo in cui poteva fermarsi ad Ivrea, specie se posto a raffronto con le grandi aspettative dei confratelli, desiderosi di avere, in città, una delle chiese più belle. C’era inoltre la sfida di un’impresa pittorica che doveva essere realizzata secondo un programma iconografico strettamente rispondente alla teologia mariana così come richiedeva il Priore Nicola Bellono, severa e colta figura che faceva parte dei Dottrinari, vale a dire della Congregazione de’ Preti secolari della Dottrina Cattolica, impegnati particolarmente nelle attività di docenza presso i collegi ecclesiastici. Nelle conversazioni avute già era emerso come il Bellono si aspettasse che, dopo il Paradiso dipinto nella cupola, fossero rappresentate sulle pareti del presbiterio le fondamentali verità di fede riguardanti la madre di Dio. Gli aveva già indicato come pensava dovesse essere la rappresentazione della Disputa sulla Immacolata Concezione con la presenza di Padri della Chiesa (come ad esempio Epifanio di Salamina) che lui non aveva nemmeno mai sentito nominare. Si trattava di mettere d’accordo la profondità di secolari riflessioni teologiche con la piacevolezza delle scene che dovevano meravigliare lo spettatore e colpirlo per la loro teatralità. Per Luca farsi apprezzare dal Bellono era importante, anche perché era lui a firmare le ricevute con l’ordine di pagare dato al tesoriere della Confraternita.

Il pittore ortese era arrivato ad Ivrea il 30 settembre ed i confratelli gli avevano trovato un alloggio provvisorio in una casa di Ivrea non lontana dalla chiesa. Si andava verso la stagione fredda e occorreva sbrigarsi a finire entro Natale; sarebbe stato poi molto arduo lavorare nei rigidi mesi invernali. Poteva contare su alcuni aiuti che aveva portato con sé, per preparare via via i colori che servivano e per stendere l’intonaco fresco, ed anche per dipingere le figure meno importanti.

Lavorava dall’alba al tramonto per sfruttare tutte le ore di luce; alla sera nella casa del signor Antonio Trisaletti, che gli assicurava vitto e alloggio, a lume di candela, lavorava ai cartoni preparatori.

Montati i ponteggi fin su al lanternino ad una altezza di oltre sei trabucchi, egli poteva iniziare subito la sua nuova impresa cominciando dal cupolino, con le figure di Dio Padre e di Cristo in attesa di incoronare la Vergine, ed in mezzo a loro, per completare la Trinità, la colomba dello Spirito Santo. Occorreva ovviamente rendere queste figure ben visibili dal basso in tutte le ore del giorno. La soluzione escogitata fu quella di realizzare in stucco la colomba posta al centro della volta e dipinge ad olio, sue due tavole in legno ritagliate secondo il contorno, le altre due figure della Trinità.

Fig. 2: La raffigurazione della Trinità nella lanterna della chiesa di Santa Croce
Fig. 2: La raffigurazione della Trinità nella lanterna della chiesa di Santa Croce
Fig. 3: La colomba dello Spirito Santo in stucco e la raggiera in legno dorato (staccati per il restauro)
Fig. 3: La colomba dello Spirito Santo in stucco e la raggiera in legno dorato (staccati per il restauro)
Fig. 4: Assunzione della Vergine
Fig. 4: Assunzione della Vergine

La raffigurazione della Madonna che raggiungeva la Trinità nel più alto dei cieli, non era per Luca un compito troppo arduo: la dipinse slanciata, con la usuale veste rossa ed uno svolazzante manto celeste, le braccia protese al cielo. Aveva sottomano, come modello a stampa da sfruttare, l’Assunzione della Vergine dipinta da Carlo Maratti nella cappella Cybo in Santa Maria del Popolo.

L’immaginò trasportata in alto da tre maestosi angeli (un soggetto per il quale era particolarmente apprezzato). Ma c’era tutto il resto del Paradiso da realizzare. Luca lo pensò popolato di mille anime, con una moltitudine di angeli disposti tra le nuvole in una sorta di spirale ascendente, tra i quali poter qua e là scorgere specifiche figure di santi, secondo quanto gli indicava il committente.

Anche questo non era un problema. In oltre vent’anni ormai nella sua carriera di pittore aveva dipinto esclusivamente soggetti di arte sacra; i committenti lo stimavano per la sua capacità narrativa, specie nella traduzione in immagini delle agiografie dei santi.

Per San Giuseppe utilizzò lo stesso modello che aveva impiegato in San Gaudenzio (ma preso in controparte), anche il Sant’Ambrogio richiamava da vicino, con la sua veste bianca ed il piviale color oro, il San Gaudenzio dipinto quindici anni prima nella pala dell’altra chiesa eporediese.

Procedeva dunque spedito, essendo in grado – così pensava – di padroneggiare l’intero impianto iconografico.

Fig. 5: Immagine del Paradiso in Santa Croce (prima del restauro)
Fig. 5: Immagine del Paradiso in Santa Croce (prima del restauro)
Fig.6: Confronto tra il San Giuseppe della chiesa di San Gaudenzio e quello di Santa Croce
Fig.6: Confronto tra il San Giuseppe della chiesa di San Gaudenzio e quello di Santa Croce

Capitò poi che il Bellono gli esprimesse il desiderio di veder raffigurati nel Paradiso anche figure dell’Antico Testamento. Una richiesta ben strana pensò Luca.  Di fronte al suo stupore il Priore sentì di dover spiegare il senso della sua richiesta volta a sottolineare la continuità tra Nuovo e Antico Testamento. Non fece ricorso a spiegazioni dottrinali, ma citò i versi del Canto IV dell’Inferno, quando nel Limbo Dante chiede a Virgilio se qualcuno fosse mai uscito da quel luogo per ascendere in Paradiso. Il poeta latino aveva risposto:

«Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.
Trasseci l’ombra del primo parente,
d’Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moïsè legista e ubidente;
Abraàm patrïarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co’ suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé,
e altri molti, e feceli beati.

Francamente Luca questi versi non li ricordava (o forse non li aveva mai letti); ma subito gli venne in mente l’ultimo dei riquadri dipinti da Gaudenzio Ferrari, a Varallo, sul tramezzo della chiesa di Santa Croce. Vi si vedeva il Cristo ritratto di spalle che si chinava verso Adamo ed Eva per strapparli dall’antro infernale e portarli in cielo. Lì Eva s’intravedeva appena, con lunghi capelli che le ricoprivano interamente il corpo. Non volendo essere empio, chiese al suo interlocutore come dovesse ritrarre Eva. «Ovviamente nuda – rispose il Dottrinale – con una mela in mano: tutti devono riconoscerla, ma lascia che i lunghi capelli biondi le coprano il seno e un soffice drappo azzurro nasconda le pudenda. Poi vedi tu come ingentilire la scena; magari con un angioletto messo tra lei ed Adamo.»