Esploriamo le pitture murali che saranno oggetto del restauro del secondo lotto: La finta macchina d’altare e la sua iconografia

Fig. 1bis: Inganno prospettico
Fig. 1bis: Inganno prospettico

Si è già detto come, nella parete di fondo dell’area absidale, sopra gli stalli del coro, Luca Rossetti abbia raffigurato illusivamente un’imponente struttura architettonica che simula la presenza di una grande “macchina d’altare” fatta di possenti colonne, sculture e dipinti su tela (Fig. 1).

L’alternarsi di elementi colorati ad elementi in monocromo scuro dà luogo ad una vistosa composizione che ricopre l’intera parete. Il termine “macchina” sta indicare il carattere composito e la monumentalità della struttura architettonica dipinta, con il suo alternarsi di luci ed ombre, l’aggettivo “finta” sottolinea l’intento di creare, attraverso l’inganno della prospettiva, l’illusione della tridimensionalità di un vero grandioso altare. Noi sappiamo che, attaccato alla parete di fondo della chiesa, c’è un edificio privato; ma il trompe-l’œil del cornicione più elevato (in parte reale e in parte dipinto) che sormonta le lesene in gesso, assieme all’inganno delle finestre dipinte di scorcio ai due lati dell’altare, danno l’impressione di un’insondabile profondità della chiesa (Fig. 1bis).

Fig. 1bis: Inganno prospettico
Fig. 1bis: Inganno prospettico

Non sappiamo se per realizzare un simile illusionismo architettonico Rossetti si sia avvalso del supporto di qualche valente quadraturista presente nella sua equipe: la documentazione superstite non ne fa cenno e questo fa pensare che fosse in grado lui stesso i “lavori di squadra”.

Ci siamo già occupati, nelle due precedenti schede, delle due finte tele dipinte (la pala d’altare con Gesù Cristo crocifisso e la decorazione del paliotto con la Natività di Maria Santissima), dobbiamo qui prendere in esame quelle che paiono essere imponenti sculture in bronzo ossidato.

Luca Rossetti si è quasi sicuramente ispirato per il disegno dell’altare ai tanti esempi reali presenti nelle chiese barocche. Sua è verosimilmente l’idea di raffigurare al di sopra delle volute del fastigio le Virtù Teologali (al centro la Fede, ai lati la Speranza e la Carità, Fig. 2). Nel quadro del complessivo impianto decorativo della chiesa, teologicamente meditato e concordato con la committenza, la scelta vuole essere un ulteriore omaggio alla Vergine (alla cui natività la chiesa era dedicata). È infatti lei, la Piena di grazia, l’emblema più alto delle tre virtù. Anche la grande conchiglia dipinta sopra le tre Virtù, può essere intesa come emblema mariano, quando si rievochi il pensiero di Efrem di Siria (dottore della Chiesa che qui vediamo raffigurato nel presbiterio) che ritenne la conchiglia, capace di produrre la perla senza fecondazione maschile, simbolo del concepimento virginale.

Fig. 2: Le Virtù teologali (Speranza, Fede, Carità)
Fig. 2: Le Virtù teologali (Speranza, Fede, Carità)

Le due imponenti finte statue bronzee poste su piedistalli ai lati dell’altare, sono quelle di due eccelsi Padri della Chiesa: riconosciamo a sinistra (dall’attributo iconografico della colomba che parla al suo orecchio) la statua di San Gregorio Magno e, sulla destra, quella di Sant’Agostino (che regge un libro sacro ed un cuore infiammato). Oltre a produrre un effetto di grande teatralità, le due statue suggeriscono l’idea dell’autorità teologica e dottrinale della Chiesa di Cristo: chiesa della quale Maria è emblema e modello.