L’altare di San Gregorio e Santa Lucia

L’altare laterale sul lato sinistro della navata venne edificato nel 1692 interamente a spese del canonico Pancia -verosimilmente cappellano della Confraternita – per celebrare la particolare devozione dei confratelli verso San Gregorio, stante la istituzione da parte del grande pontefice delle messe in suffragio dei defunti. È opportuno ricordare che la congregazione eporediese (che prendeva allora il nome di Confraternita del Suffragio) aveva come scopo principale, dichiarato nell’art. 1 delle proprie Regole, quello di far celebrare messe «a sollievo dei tormentati animi del Purgatorio»

La struttura della macchina d’altare è pressoché identica a quella dell’altare di San Filippo Neri che si trova di fronte, sull’altro lato della navata. La mensa dell’altare è ricoperta da un paliotto in tela dipinto che mostra, al centro, in un profluvio di fiori, la figura della Immacolata con ai lati Santa Lucia e Santa Cecilia. Al di sopra della mensa, motivi decorativi dorati affiancano il tabernacolo (con l’immagine della pisside) nel gradino d’altare. Più in alto, la pala d’altare è posta all’interno di un ricco impianto architettonico in legno dipinto e riccamente dorato: esso è formato da due colonne tortili segnate da girali dorati con capitelli compositi. Le colonne sono sormontate da una elegante trabeazione e da un timpano spezzato formato da due girali su cui si siedono due angioletti con un braccio alzato a mo’ d’invito ad osservare al centro una cimasa di forma di quadrata culminante, in guisa di stemma, dal una coppa dorata contenente due occhi, il noto attributo iconografico di Santa Lucia.

Non si conosce l’autore della grande pala: ad esso va riconosciuta – pur nella modesta qualità artistica – una piacevole inventiva scenografica.

La figura di San Gregorio in primo piano è immediatamente riconoscibile per la tiara papale, la preziosità dei paramenti liturgici, i guanti rossi, la croce a due traverse (come vescovo di Roma e successore dell’apostolo Pietro), e l’immancabile colomba che si accosta al suo orecchio[1]. Sull’altro lato della tela, sempre in primo piano, è posta la figura di Santa Lucia – santa di Siracusa martirizzata all’inizio del IV secolo nella persecuzione voluta da Diocleziano – il culto della quale si estese fuori dalla Sicilia nel VI secolo proprio ad opera della speciale devozione che ebbe per lei Gregorio Magno[2]. Riconosciamo la santa, che indossa una veste monastica ed un manto rosso, per la palma del martirio che tiene nella mano sinistra e specialmente per il piccolo stilo che essa mostra con il braccio destro alzato e nel quale sono infilzati i due occhi che le furono cavati durante il supplizio.

Entrambi i santi sono inginocchiati a rendere omaggio ad una pensosa Madonna che regge, in piedi sulle sue ginocchia, il Bambino. La visione della Madre Celeste è garantita ai due santi in preghiera da uno bagliore di luce che squarcia un cielo cupo e che lascia scorgere, assieme teste alate di angeli, anche la figura di San Michele in atto di rinfoderare la sua spada.

La scena della tela è dunque quella ispirata dal racconto agiografico secondo il quale San Gregorio, appena eletto papa, si trovò a dover fronteggiare una terribile pestilenza e decise allora di organizzare una processione divisa in sette cortei alla quale parteciparono tutti gli ordini del clero e l’intera popolazione. Lo scopo della processione che si snodò per le vie di Roma era quello di portare a San Pietro l’icona di Maria Salus populi Romani, conservata in Santa Maria Maggiore (che la tradizione vuole essere stata dipinta dall’evangelista Luca).

«Gregorio di Tours, nell’Historiae Francorum (liber X, 1) e Iacopo di Varazze, nella Legenda Aurea, raccontano il memorabile prodigio in modo incalzante e accorato. Durante la processione, in una sola ora erano morte ben ottanta persone, ma papa Gregorio non smetteva di incoraggiare ad andare avanti con fede. Man mano che il corteo si avvicinava a San Pietro, l’aria diventava più leggera e salubre. Giunti al ponte che collegava la città al Mausoleo di Adriano, allora chiamato Castellum Crescentii, d’improvviso scesero dal cielo schiere di angeli che cantavano quelle che sarebbero diventate le parole del Regina Coeli […]. San Gregorio rispose: “Ora pro nobis rogamus, Alleluja!”. Gli angeli planarono ancora più in basso per galleggiare sulle teste dei presenti e infine circondare il dipinto di Maria. Gregorio guardò in alto e sulla cima del castello vide la grande figura armata dell’Arcangelo mentre asciugava la spada dal sangue e la riponeva nel fodero. La peste era finita».[3]

Dopo il miracoloso evento fu deciso che sull’antico mausoleo di Adriano dovesse essere eretta la statua di San Michele Arcangelo e che il nome della mole diventasse Castel Sant’Angelo.

Nella tela si osserva il dispiegarsi dei cortei processionali, raffigurati attraverso minuscole figure di religiosi, sia sul ponte che porta a Castel Sant’Angelo sia lungo le mura del castello. L’immagine della mole adrianea è sufficientemente realistica, ma è riportata all’epoca dei fatti immaginando che il ponte sul Tevere apparisse allora come una (non troppo solida) costruzione di legno[4] e che l’ingresso al castello fosse protetto da un possente e turrito revellino.

Più in basso nella scena osserviamo, in ridotte dimensioni, l’immagine di alcune anime purganti. Si può ragionevolmente pensare che siano le anime dei morti durante la processione, prima del miracolo, verso le quali San Gregorio non avrà mancato di far celebrare messe di suffragio. Un particolare, quest’ultimo, ben modesto dal punto di vista pittorico, ma che trova una sua ragion d’essere proprio per ricordare ai fedeli che si è nella chiesa della Confraternita del Suffragio.

Appare verosimile che la scelta come soggetto della tela del miracolo della fine della peste a Roma – un’iconografia assai inconsueta –  non sia immemore del ruolo avuto dalla confraternita ad Ivrea durante la peste del 1630 nel assistenza degli infermi e nell’accompagnamento dei morti alla sepoltura.

[1] L’attributo iconografico della colomba fa riferimento alla leggenda secondo la quale uno scrivano di San Gregorio lo avrebbe osservato, intento a scrivere, con la colomba dello Spirito Santo che suggeriva il senso delle alte riflessioni teologiche.

[2][2] La presenza di Santa Lucia, invocata a protezione dalle malattie degli occhi, si spiega verosimilmente, oltre al legame devozionale con la figura di San Gregorio Magno, con la speciale devozione dalle consorelle nei suoi confronti, stante il timore dell’impossibilità, con il venir meno della vista, di svolgere lavori di cucito e altri lavori domestici che richiedono acutezza visiva.

[3] Tratto da https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2020-03/quando-san-michele-arcangelo-apparve-a-roma-e-fermo-la-peste.html, URL consultato il 10 /08/ 2020.