Le “eroine” dell’Antico Testamento nella navata della chiesa di Santa Croce ad Ivrea.

Le “eroine” dell’Antico Testamento nella navata della chiesa di Santa Croce ad Ivrea.

di Lauro Mattalucci
(Articolo pubblicato sul Bollettino ASAC 2021)

Premessa

La chiesa della confraternita di Santa Croce in via Arduino- i vecchi eporediesi la conoscono come la cesa ‘dle cadene – sta conoscendo, dal punto di vista artistico, una sorta di rinascita: ha infatti avuto inizio in giugno l’atteso progetto di restauro di una parte significativa del ciclo di affreschi che ne ricopre interamente le pareti. Si tratta di un’opera tardo barocca realizzata dal pittore Luca Rossetti in due riprese, nel 1753 e nel 1761[1]. I lavori avviati si riferiscono al primo lotto del progetto complessivo che ci consentirà, entro la fine dell’anno, di vedere nuovamente gli affreschi della cupola e del presbiterio nei loro magnifici colori originali.
Già lo scorso anno, pur con i limiti imposti dalla pandemia, i confratelli hanno attivato, nella prospettiva di poter dare avvio ai restauri attraverso le necessarie azioni di fundrising[2], varie iniziative finalizzate a far conoscere al pubblico i tesori artistici che la chiesa conserva ed a sensibilizzare la comunità territoriale sull’urgenza di intervenire a salvaguardia dei suoi affreschi ormai alquanto ammalorati. Nel quadro di tali iniziative[3], si è realizzata una pubblicazione che documenta la storia della confraternita e della sua chiesa e che illustra le pitture murali realizzate da Luca Rossetti[4].
Il presente scritto intende approfondire – con l’obiettivo di servire da guida al visitatore – quanto già esposto nella pubblicazione citata in riferimento ad una parte specifica dell’apparato decorativo: gli affreschi posti nella parte superiore delle pareti della navata, dove si stagliano – fatto alquanto inconsueto negli apparati decorativi delle chiese – otto figure femminili (alcune note altre meno note) che si incontrano in altrettanti libri dell’Antico Testamento. Tranne una figura ormai illeggibile a causa della caduta dell’intonaco, le altre “eroine” si mostrano a chi entra nella chiesa in eleganti e vaporosi abiti settecenteschi, corredate da cartigli per lo più ancora sufficientemente intellegibili che servono ad identificarle. Le loro immagini verranno qui di seguito esaminate sia dal punto di vista artistico, sia dal punto di vista iconologico per comprendere il senso della loro presenza nel quadro di quello che è stato l’impianto dottrinale che ha guidato la realizzazione nella chiesa dell’intero ciclo decorativo.

Appare piuttosto evidente infatti come, in quella che doveva essere la competizione con le altre confraternite cittadine, ma anche con le varie parrocchie, per avere la chiesa più elegante, la confraternita di Santa Croce, oltre a valersi di un pittore di provata capacità nell’affrontare i vari soggetti dell’arte sacra, desiderasse dimostrare, attraverso un ben ingegnato apparato figurativo, di possedere una raffinata preparazione teologica in merito alle questioni dottrinali che stanno alla base del culto mariano, in omaggio al fatto che la chiesa era allora intitolata alla “Natività di Maria Santissima”[5].

Le otto “eroine” bibliche ed il loro significato nel complessivo ciclo di affreschi.

Percorrendo la navata della chiesa, guardando in alto nelle lunette ai lati delle finestre, scorgiamo – dipinte da Luca Rossetti su indicazione di qualche ignoto erudito studioso delle Sacre Scritture – le raffigurazioni di alcune “eroine” veterotestamentarie. Si tratta di figure femminili dai tratti del viso aggraziati che – come si è accennato – indossano vesti ampie ed eleganti, dai colori morbidi, con fogge in accordo con la moda di quegli anni. I cartigli posti ai loro piedi non hanno solo una funzione didascalica (che si esprime attraverso un sintetico verso che ne indica l’identità), ma valgono a dar loro il sapore di una tradizione religiosa antica.

Per comprendere il significato della loro presenza occorre riferirsi ai capisaldi dottrinali che hanno guidato, attraverso una sapiente regia, la realizzazione dell’intero ciclo:

  1. la celebrazione della figura della Vergine attraverso la rappresentazione – nella cupola e sulle pareti del presbiterio – dei dogmi mariani: l’Assunzione, la Verginità perpetua di Maria (che ha come presupposto il dogma della Madonna madre di Dio) e l’Immacolata concezione;
  2. la sottolineatura della linea di continuità tra Antico e Nuovo Testamento, quasi a voler qui richiamare le parole di San Paolo: “Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione”[6]

È forse opportuno spendere alcune parole a chiarimento di questo secondo punto.  L’ermeneutica dell’Antico Testamento (AT) nel mondo cristiano ebbe sviluppo a partire da quei Padri della Chiesa che si accostarono al testo cercandovi un significato simbolico più profondo basato spesso su allegorie che hanno come fondamento una lettura cristologica del testo sacro, nel senso che le vicende narrate nell’AT sono supposte prefigurare le vicende di Cristo e della sua Chiesa: si affermò così precocemente la convinzione che stia in tale lettura la chiave per comprendere il senso profondo dei fatti narrati nell’AT[7]. Tale procedimento esegetico, nella chiesa di Santa Croce, sta alla base non solo della raffigurazione delle eroine bibliche della quale ci stiamo occupando, ma anche dei profeti e dei re antichi di Israele (Ezechiele, Geremia, Davide e Salomone) che troviamo nei pennacchi della cupola intenti ad esibire premonitrici citazioni bibliche, ed anche dei personaggi maschili tratti dall’AT che osserviamo nel coro[8].

Le figure femminili che si palesano al fedele nella navata della chiesa (quattro su ogni parete) sono intese, in accordo con una diffusa esegesi biblica (ancora molto viva negli anni in cui la chiesa fu affrescata[9]) interpretava, ciascuna in ragione di proprie azioni e specifiche virtù, come profeticamente allusiva dell’avvento della Vergine. Si tratta di una scelta riguardante l’apparato decorativo che, come detto, trova giustificazione nel fatto che la chiesa era, sin dalla origine, intitolata alla Natività di Maria Santissima.

Sul lato destro della navata, nella prima campata, vediamo Ester raffigurata come regina[10]: assisa in trono, regge lo scettro nella mano destra e porta in testa la corona; indossa un’ampia gonna giallo ocra ed una morbida chemise bianca, stretta sul busto da un corpetto di un pallido azzurro, mentre sulle spalle si stende un ampio manto regale color cremisi, fermato sul petto da una fascia ornata di preziosi fermagli (Fig. 1). La carnagione pallida del volto mostra un lieve rossore sulle gote; gli occhi sono rivolti al cielo, come in estasi.

Il cartiglio che osserviamo al di sotto della sua immagine recita “liberavit populum ab excidio”[11]

L’accostamento di Ester a Maria risale almeno all’anno 836 quando Rabano Mauro Magnenzio nella sua Expositio in librum Esther mette in evidenza, attraverso alcune concordanze, come l’eroina ebraica debba considerarsi una delle varie prefigurazioni di Maria presenti nell’Antico Testamento. La sua incoronazione da parte di Assuero, il re persiano, corrisponde all’incoronazione in cielo della Vergine assunta; il suo intervento presso il re, capace di salvare il popolo ebraico dall’eccidio, diventa emblema dell’intercessione di Maria presso il Figlio.

Nella stessa lunetta, di fronte ad Ester, è posta la figura, alquanto deteriorata, di Abigail. Il suo nome si riesce fortunatamente a leggere nel sottostante cartiglio, nonostante esso sia gravemente deteriorato e ci renda impossibile decifrare l’intera frase. Anche Abigail, come Ester, stante una diffusa esegesi biblica, preannuncia la Vergine per aver salvato la sua gente dall’eccidio e per essere riuscita a placare l’ira di Davide[12]; per la sua umiltà essa può essere vista come anticipazione dell’immagine della Vergine annunciata ed anche come figura della Vergine che placa l’ira divina.

 

Sempre sulla parete destra della navata, nella lunetta presente nella campata successiva, troviamo – fatto assai inconsueto – la raffigurazione di una eroina poco menzionata: si tratta Abisag (Fig. 2), divenuta concubina di Davide quando il re era ormai molto anziano[13].

Fig. 2: Abisag, parete destra della navata

L’eroina, assisa accanto ad un tavolino su cui ha appoggiato la corona regale, indossa un’amplissima gonna granata (che sapienti luminescenze fanno apparire quasi serica), una camicia bianca dalle amplissime maniche svasate ed un corpetto giallo a punta sul davanti, stretto sulla vita sottile da una preziosa cintura. Ricercata è l’acconciatura dei capelli, stretti sul retro da un velo leggero e impreziositi sul davanti da file di perle e da un monile d’oro sulla fronte. Regge con la destra un ramo fiorito di giglio, simbolo di purezza.

Il cartiglio ai suoi piedi recita: Abisag  regi nupta sed semper virgo[14]. Esso spiega come la scelta di questa figura marginale, vada riferita alla sua verginità, oltre che alla cura devota per il suo sposo.

Nella stessa lunetta, di fronte ad Abisag, troviamo Giaele intenta a trafiggere, con un martello e un paletto, il cranio del generale dell’esercito cananeo Sisara (Fig. 3)

Fig. 3: Giaele, parete destra della navata

Fig. 3: Giaele, parete destra della navata

L’eroina indossa una veste color cenere ed una sopravveste di color carminio; una camicia di un pallido azzurro, con le maniche che lasciano scoperti i forti avambracci; è stretta in vita da un’alta cintura dorata; una cuffia trattiene i suoi capelli biondi e vale a mettere in risalto un volto molto dolce (a dispetto della azione cruenta che sta compiendo).

Sotto la tenda in cui è stato accolto, Sisara è sprofondato nel sonno senza neppure togliersi l’elmo. Così Giaele decide di conficcare un paletto della tenda proprio nell’orecchio del generale nemico. Si adempie così la profezia di Debora che, nel Libro dei Giudici, aveva previsto la uccisione di Sisara da parte di una donna.

Il cartiglio ai suoi piedi recita: Jahel confodit caput sisarae

 

Non è facile comprendere come Giaele, che accoglie Sisara come ospite nella sua tenda e poi, nel sonno, lo uccide, possa prefigurare la figura della Vergine: la difficoltà non ha arrestato gli esegeti che videro in Giaele la figura dell’Immacolata che schiaccia il capo al serpente[15].

Sulla parete sinistra della navata, nella lunetta che circonda la finestra della prima campata, troviamo la figura ormai illeggibile di una eroina biblica; neppure il cartiglio molto rovinato ci consente di scoprirne l’identità. Con ogni probabilità doveva trattarsi di Giuditta, la più raffigurata e la più celebrata in opere letterarie tra le donne dell’Antico Testamento, vista come precorritrice della Vergine in quanto simbolo del trionfo del bene sul male[16].

Di fronte alla ignota eroina troviamo, con ogni probabilità, l’immagine di Agar, schiava egiziana di Sara, e madre di Ismaele, primo figlio di Abramo (Genesi, capitoli 16 e 21).

Fig. 4: Agar, parete sinistra della navata

Fig. 4: Agar, parete sinistra della navata

L’eroina, dai lunghi capelli biondi, indossa una candida chemise ornata da una bordatura dorata; ha il volto triste e gli occhi pieni di lacrime che asciuga con un ampio fazzoletto bianco ornato di pizzo[17] (Fig. 4). L’immagine si riferisce verosimilmente al momento in cui Agar, scacciata da Abramo, si trova nel deserto senza acqua ed ha appena abbandonato il figlio Ismaele per non vederlo morire. Subito dopo udrà dal cielo la voce di Dio che le dice di non temere e profetizza che da Ismaele discenderà una grande nazione (Gen. 21, 17)

Il cartiglio ai suoi piedi è ampiamente rovinato: si leggono solo le parole omnibus dil[ecta], a significare verosimilmente la speciale attenzione che il Signore dimostra per lei, schiava di Sara.

 

 

La prefigurazione della Vergine Maria da parte di Agar, è legata soprattutto al passo della Genesi in cui si narra della apparizione ad Agar di un Angelo che le dice «Ecco, sei incinta: partorirai un figlio e lo chiamerai Ismaele». L’episodio richiama alla mente la figura dell’Angelo annunziante che dice a Maria: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; …» (Luca 1.30,31). L’iscrizione sul cartiglio sembra collegarsi alla sua commovente storia e al fatto che Agar per ben due volte fa esperienza di Dio che si prende cura di lei – una schiava – nei momenti in cui la sua situazione sembra disperata.

Nella lunetta successiva troviamo Sara e Rachele, rispettivamente spose di Abramo ed Isacco, i grandi patriarchi di Israele e figure notoriamente emblematiche della lunga storia della Chiesa.

Fig. 5: Sara, parete sinistra della navata

Fig. 5: Sara, parete sinistra della navata

Sara indossa, su una veste rossa, una sopravveste cinerina; sulle spalle porta un ampio scialle di color avorio annodato sul petto. Il suo capo è coperto da una sorta di turbante impreziosito in fronte da un gioiello: esso incornicia il volto che ci mostra una donna, ancora avvenente, pur se avanti negli anni. Protende le palme e pare accennare, incredula, ad un sorriso, colta forse nel momento in cui, origliando, sente i tre angeli apparsi ad Abramo, preannunciare – per lei sterile – una futura maternità. Accanto alla donna osserviamo un lungo bastone da pellegrino ed un sacco: contiene la farina che Abramo le ha chiesto di prendere per preparare le focacce agli angeli ospitati. Il cartiglio ai suoi piedi recita: sara mater credentium a sottolineare forse il ruolo di antesignana della Nuova Alleanza assegnatole da San Paolo[18].

 

La Madonna, madre del Signore, è diventata presto, nelle riflessioni teologiche, immagine della Chiesa e madre dei credenti in Cristo.

Di fronte a Sara, è raffigurata un’altra matriarca: Rebecca, sposa di Isacco e madre di Giacobbe ed Esaù.

Fig. 6: Rebecca, parete sinistra della navata

Fig. 6: Rebecca, parete sinistra della navata

Anche per Rebecca, abbiamo un vestito ispirato dalla moda del tempo, con un’ampia veste ocra, un corpino rosa ed una camicia confezionate con tessuti leggeri, al punto da lasciare intravedere sotto di esse la forma di un seno in fiore (Fig. 6). Siamo di fronte alla Rebecca giovane e avvenente che Eliezer incontra a Nacor nei pressi di un pozzo (la donna, infatti, tiene in mano un secchio che ha riempito d’acqua nel pozzo che si intravede alle sue spalle). Ha capelli biondi ed un dolce viso virginale.

La scritta ai suoi piedi è in parte rovinata; vi leggiamo: Duos Rebecca populos […]gesta[…] in [ u]tero

A chiarimento delle parole del cartiglio si può osservare che i due popoli che discendono da Rebecca sono quelli generati dai due gemelli che essa ha partorito, Esaù, il primo uscito dal grembo, e Giacobbe il prediletto di Rebecca. Lo aveva predetto, mentre lei era incinta, la voce del Signore: «Due nazioni sono nel tuo seno / e due popoli dal tuo grembo si divideranno; / un popolo sarà più forte dell’altro / e il maggiore servirà il più piccolo» (Gen. 25,23). La frase finale, com’è noto, venne già ripresa da San Paolo (Romani 9, 12) ed intesa come sottomissione degli ebrei ai gentili convertiti al cristianesimo. In questo senso Rebecca prefigura anch’essa la venuta di Maria e con essa la chiesa di Cristo, che sopravanzerà la sinagoga ebraica.

Le donne, presenti nell’Antico Testamento e qui raffigurate, preannunciano, come si è visto, la venuta della Vergine. I cristiani del passato hanno riconosciuto in ciascuna di esse eventi o tratti comportamentali che rimandano alla Madonna. Nessuna ovviamente arriva ad eguagliare la “piena di grazia, benedetta fra tutte le donne”. Per sottolineare questo impari confronto si ricorre ancora ad un passo dell’Antico Testamento, quello che compare nel filatterio che un maestoso e bellissimo angelo mostra sulla volta della navata: Tu supergressa es universas[19] (Prov. 31,29), anch’esso interpretato in riferimento alla Vergine[20] (Fig.7).

Fig. 7: Angelo sulla volta della navata.

Fig. 7: Angelo sulla volta della navata.

Lo sconosciuto regista dell’impianto dottrinale degli affreschi di Santa Croce

Come si è notato la raffigurazione ad uso dei fedeli delle eroine bibliche ha il sapore in una galleria di donne illustri, che si mostrano a chi osserva prive (tranne Giaele) di attributi iconografici che le rendono facilmente riconoscibili[21]. Il disvelamento della loro identità è affidato a cartigli che, dal basso, non si leggono facilmente, anche perché in parte nascosti dai pilastri.

L’osservatore deve dunque impegnarsi non poco per decifrare il messaggio che da esse proviene. Ancor più difficile è interpretare il senso delle dispute teologiche che si svolgono sulle pareti del presbiterio e cogliere l’identità dei loro protagonisti (Fig. 8) Altrettanto arduo è capire il significato di buona parte dei dipinti murali dell’abside.

Possiamo dire, mutuando il linguaggio della linguistica, che se il significante, vale a dire il linguaggio pittorico degli affreschi risulta accattivante nella misurata teatralità dei personaggi, nella eleganza degli abiti e nella morbidezza dei colori, il significato invece, per essere pienamente colto, richiede l’ausilio di una notevole competenza dottrinale. Viene dunque da chiedersi chi sia stato il regista in possesso di non comuni conoscenze teologiche che ha determinato la scelta delle nostre eroine (alcune delle quali, come Agar e Abisag, inconsuetamente chiamate in causa in qualità di anticipatrici veterotestamentarie della Vergine) e che, più in generale, ha ideato l’apparato decorativo della chiesa, trovando in Luca Rossetti un validissimo attuatore di tale piano, forte della sua ormai lunga frequentazione dei temi dell’arte sacra.

Non sono stati svolti ad oggi studi sufficienti per rispondere a tale domanda (sempre che la documentazione che si è conservata consenta di trovare una risposta).

Due sono ad oggi gli indizi che si possono prendere in esame. Il primo ci porta a considerare il legame, presente sin dalla sua fondazione, tra la Confraternita ed il vicino convento francescano (oggi sede della Polizia di Stato). Non è forse privo di significato il fatto che Luca Rossetti abbia realizzato nel salone principale del convento un affresco con San Francesco in estasi (1471), essendo committente dell’opera padre Giovanni Francesco Palandella, insigne teologo e predicatore[22] Vero è, tuttavia, che nell’anno di avvio della esecuzione degli affreschi di Santa Croce Palandella era morto da diciassette anni; ma doveva pur esserci all’interno del convento qualcuno che aveva ereditato il suo magistero.

Un secondo (forse più promettente) indizio ci porta all’interno della confraternita. Sappiamo dalla documentazione pervenutaci che, negli anni in cui furono realizzati gli affreschi, per tutti i lavori eseguiti all’interno della chiesa, l’ordine di pagare che veniva dato al tesoriere porta sempre la firma di “P. Stefano Nicola Bellono deputato”. Il Benvenuti cita un Pr. Nicola Bellono, morto nel 1771, che faceva parte della Congregazione de’ Preti secolari della Dottrina Cattolica, detti anche Dottrinari, impegnati particolarmente nelle attività di catechesi presso i collegi ecclesiastici[23]. Uno studio delle vicende dei Dottrinari di Ivrea potrebbe forse far luce sulla figura di Nicola Bellono e consentire di capire se a lui possa attribuirsi la regia del sofisticato apparato decorativo di Santa Croce.

Fig. 8: Disputa sulla Immacolata Concezione, presbiterio

Fig. 8: Disputa sulla Immacolata Concezione, presbiterio

* Testo pubblicato sul Bollettino ASAC 2021

NOTE

[1] Luca Rossetti fu il principale protagonista della pittura tardo barocca in area canavesana. Realizzò ad Ivrea due importanti imprese decorative: quella della chiesa di San Gaudenzio (1738-39) e, appunto, quella della Chiesa della confraternita di Santa Croce (1753 e 1761). Oltre alle due chiese menzionate il pittore di Orta operò ad Ivrea all’interno del Palazzo Vescovile (1751 ca.), nell’ex Convento francescano (1741) e, con ogni probabilità, in quella che era la cappella del Seminario Vescovile. Gli è attribuito un affresco (in condizioni sempre più precarie) posto sulla facciata di una casa privata a Pavone. Operò inoltre a Cuorgnè dove, nella chiesa di San Giovanni Battista, realizzò un ciclo di sette tele dedicate al Battista (1742); un’altra sua tela si trova – sempre a Cuorgnè – nella parrocchiale di San Dalmazzo (1744).
[2] Attualmente le azioni di fundrising si sono felicemente concluse per il primo dei tre lotti previsti. Quelle relative al secondo lotto (dipinti del presbiterio) e quelle del terzo lotto (dipinti della navata) appaiono, ad oggi, assai più impegnative.
[3] Si tratta di iniziative che hanno visto tra le altre cose: la realizzazione di conferenze e visite guidate, il coinvolgimento di associazioni che condividono l’impegno alla conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio artistico, una partnership con il liceo Botta finalizzata alla preparazione di studenti al ruolo di “guide accoglienti”, la realizzazione di un sito web e di un filmato sulla chiesa (visibile in internet alla pagina https://www.youtube.com/watch?v=k9aipJnpiH4).
[4] G. Berattino, L. Mattalucci, La chiesa di Santa Croce ad Ivrea ed i suoi affreschi: un bene artistico da salvare, pubblicazione a cura della Confraternita di Santa Croce, Ivrea, 2020.
[5] Ringrazio Mons. Armando Rolla per l’amabilità dimostrata nel rileggere la prima versione del presente scritto e per i suggerimenti che ne sono derivati. Ovviamente ogni lacuna ed errore interpretativo sono da imputare allo scrivente.
[6] Romani 15,4
[7] Ad es. il pane ed il vino portati ad Abramo da Melchisedek (Gen 14-18) sono intesi come prefigurazione della eucarestia.
[8] Vedasi Berattino, Mattalucci, La chiesa di Santa Croce …, cit. p. 46, p. 57.
[9] Si consideri che, ancora a metà dell’Ottocento, un importante studioso cristiano come Auguste Nicolas scriveva: «Posti questi preliminari, non è egli naturale il vedere […] nelle donne della Bibbia che hanno particolarmente perpetuato con la loro maternità o salvato col loro eroismo i destini d’Israele, alcuni preludi ed abbozzi di colei da cui dovevano consumersi questi destini […]. Maria è stata prefigurata in tutte le sante donne dell’Antico Testamento […] essendo la donna benedetta fra tutte le donne e in cui ogni donna è stata benedetta. A. Nicolas, La vergine Maria. Il piano divino. Nuovi studi filosofici sul Cristianesimo. Volume secondo, Torino, 1857, p. 85. Attualmente gli studi esegetici sulle donne dell’AT rivestono approcci molto diversi, legati agli schemi di genere nelle società veterotestamentarie ed alla loro evoluzione storica. I. Fischer, Donne nell’Antico Testamento, in A. Valerio (a cura di), Donne e Bibbia. Storia ed esegesi, Bologna, pp 161-196.
[10] Sappiamo dal Libro di Ester che Assuero, re di Persia, “si innamorò di Ester: ella trovò grazia più di tutte le fanciulle e perciò egli pose su di lei la corona regale.”  (Est. 2,17).
[11] Le vicende di Ester, sposa del re persiano Assuero, che prostrandosi di fronte al sovrano dopo tre giorni di digiuno e svenendo al suo cospetto, ebbe poi la possibilità di smascherare il complotto di un alto dignitario di corte finalizzato a sterminare tutti gli ebrei, goderono nel Seicento di vastissima popolarità. Moltissimi sono i dipinti che raffigurano tali vicende ed esistono opere letterarie che prendono le mosse dal racconto biblico (le più conosciute sono quelle di Racine e di Lope de Vega).
[12] Leggiamo nel primo libro di Samuele (1 Samuele 25) che Abigail viveva con suo marito Nabal nella regione in cui Davide si era rifugiato mentre era fuggiasco. In quel tempo Nabal beneficiò della protezione di Davide e dei suoi uomini contro gruppi di predoni che volevano impossessarsi dei suoi ricchi armenti. In seguito, quando alcuni messaggeri inviati da Davide andarono da Nabal a chiedergli del cibo, questi glielo negò in modo arrogante. Davide, fortemente irato, decise di uccidere Nabal e tutti i maschi della sua casa. Quando Abigail venne avvertita dell’imminente attacco, di nascosto dal marito e con l’aiuto dei servi, caricò sugli asini un gran numero di provviste; si recò da Davide e si gettò ai suoi piedi supplicandolo di perdonare l’offesa subita. Davide, commosso, abbandonò il suo proposito di vendetta e ringraziò Abigail per avergli impedito di compiere una strage. Dopo pochi giorni, Nabal morì e Abigail divenne moglie di Davide.
[13] Viene qui corretta – a seguito di riprese fatte con un drone – l’errata interpretazione di tale figura femminile data da chi scrive nel documento La chiesa di Santa Croce.. cit., p. 44 n. 160.
[14] Abisag – per quanto recita il Primo Libro dei Re – fu una avvenente giovinetta entrata nell’harem di Re David, prescelta per assisterlo nella sua vecchiaia, quando non riusciva più a riscaldarsi. Leggiamo nel testo biblico: “«Si cerchi per il re nostro signore una vergine giovinetta, che assista il re e lo curi e dorma con lui; così il re nostro signore si riscalderà».  Si cercò in tutto il territorio d’Israele una giovane bella e si trovò Abisag da Sunem e la condussero al re. La giovane era molto bella; essa curava il re e lo serviva, ma il re non si unì a lei” (Re I, 1-4).
[15] Vedasi ad es. Biagio della purificazione, Sermoni detti di Avvento, Roma 1685, serm. 10, p. 24.
[16] L. Borsetto (a cura di), Giuditta e altre eroine bibliche tra Rinascimento e Barocco. Orizzonti di senso e di genere, variazioni, riscritture, Atti del Seminario di Studio (Padova, 10-11 dicembre 2007), Padova University Press, 2011
[17] Esistono molteplici dipinti che raffigurano Agar piangente; citiamo il quadro del Guercino a Brera, quello di Gérard de Lairesse all’Hermitage, quello di Gerbrand van den Eeckhout al J. Paul Getty Museum
[18] San Paolo, nella lettera ai Galati (Gal. 4,22-31), riprende le immagini di Sara e Agar, interpretate in chiave allegorica, secondo la quale Agar rappresenterebbe l’Antica Alleanza, mentre Sara sarebbe simbolo della Nuova Alleanza.
[19] La frase completa nella vulgata latina è: «Multae filiae congregaverunt divitias, tu supergressa es universas» [«Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti, ma tu le hai superate tutte!»].
[20] Troviamo il riferimento alla Vergine del citato passo dei Proverbi anche nel testo Le glorie di Maria composto nel 1750 da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.
[21] Del tutto diversa è, ad esempio, la presentazione delle donne veterotestamentarie prefiguranti la Madre del Signore che troviamo a Pavia nella chiesa di Santa Maria Incoronata di Canepanova: sono qui presenti, ai lati dell’aula, otto grandi tele seicentesche che, attraverso la rappresentazione di note scene tratte dal racconto biblico, lasciano facilmente riconoscere le otto eroine qui prescelte: si tratta di Giaele, Abigail, Giuditta, Ester, Rachele, Debora, Miriam e Rebecca.

[22] Vedasi S. Coppo, C. Bertolotto, Un patrimonio conservato, in AA. VV., Il convento di San Francesco a Ivrea, Ivrea, 2011, p. 66 sgg.

[23] Vedasi G. Benvenuti, Istoria dell’antica città di Ivrea dalla sua fondazione fino alla fine del secolo XVIII, manoscritto, ca. 1798-1800, edizione a stampa a cura della Società Accademica di Storia ed Arte Canavesana, Ivrea, 1976, p. 702.

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